La Giunta comununale nella sua seduta del 20 giungo u.s. ha intitolato ad Alberto da Giussano ( personaggio simbolo - così recita la dlibera - e protagonista della liberazione dei Comuni del Nord Italia dall'oppressione e dal dominio degli Imperatori del Sacro Romano Impero, grazie alla vittoria della battaglia di Legnano del 29/5/1176 conseguita nei confronti dell'Imperatore tedesco Federico I Hohenstaufen detto "il Barbarossa") la nuova via (perpendicolare a Via Cavour) nella zona industrale est di San Pietro in Gu al confine con Carmignano di Brenta. - - - - - - - (tratto da http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/111994/la_leggenda_di_alberto_da_giussano) Dietro la leggenda La leggenda di Alberto da Giussano Storia e cronaca di un’invenzione a cui credono gli elettori della Lega Sarà opportuno comunicare a Umberto Bossi e allo stato maggiore della Lega che Alberto da Giussano è frutto di un’invenzione, come Sandokan o Gianburrasca, e che il giuramento di Pontida non ha mai avuto luogo. In un tempo in cui si profila l’arrivo sui teleschermi del kolossal di Renzo Martinelli sulla battaglia di Legnano, fortemente voluto dai dirigenti della Lega (che, a una breve anteprima – dicono le cronache –, si sono commossi) è bene fare la parte della storia e quella della retorica precisando che appunto di leggenda si tratta, come il Sacro Graal o l’oro del Reno. Non vi è traccia, infatti, nelle cronache serie dell’epoca, della Compagnia o Società della Morte – i novecento cavalieri comandati dal Giussano e che avrebbero fatto mirabilia nella battaglia di Legnano, questa sì effettivamente svoltasi, 29 maggio 1176 – e del loro capo, dei trecento fanti del Carroccio e dei trenta carri falcati che si dice abbiano contribuito alla sconfitta del Barbarossa. Sembra per contro che le truppe imperiali siano state sbaragliate da compagnie di arrabbiatissimi cittadini, per lo più appiedati e muniti di lance e forconi, che difendevano la propria vita e i propri beni dall’esosità dei balzelli della Casa di Hohenstaufen. I novecento militi della Società della Morte, secondo la favola, avrebbero giurato di combattere contro l’imperatore in ogni situazione, di non darsi mai alla fuga e di tagliare la testa a chi avesse disertato. Ma per la verità in nessun serio documento si registra la loro presenza, né tanto meno la loro partecipazione nella citata, storica battaglia. Fanno venire alla mente un racconto satirico di Giancarlo Fusco contenuto nel libro Le rose del ventennio, in cui si parla di un gruppo di arditi votati, nell’ultima guerra, alle imprese più spericolate e alla morte, sotto il comando del maggiore Ferro Maria Ferri. Essi però non trovavano impresa abbastanza audace per loro e trascorrevano, destinati a un sacrificio che non veniva mai, le serate nei bordelli e nelle taverne. I primi elementi della leggenda al cui centro si trova Alberto da Giussano sono stati introdotti almeno centocinquant’anni dopo gli avvenimenti in una “cronica” del milanese fra’ Galvano Fiamma, definito in tempi posteriori «compilatore negligente, credulo, privo di senso critico». E fortemente interessato a far recuperare un ruolo di primo piano al suo partito, dei nobili, la cui cavalleria (i novecento della Società della Morte?) in scontri preliminari ai veri e propri combattimenti, indecorosamente era stata messa in fuga degli avversari. Con la conseguenza di indurre i sostenitori dell’altro partito, quello dei popolani, a porre l’accento sui trecento asserragliati attorno al Carroccio come quasi esclusivo fattore di vittoria sugli imperiali. Cronisti successivi hanno ripreso le varie informazioni senza darsi la pena di accertarne la veridicità. Sta di fatto che dell’esistenza di Alberto e dei suoi fratelli Otto e Rainerio – descritti tutti, dagli apologeti, come di alta statura e di aspetto imponente – non fa cenno nessuno fra gli studiosi veri del Medioevo (per esempio il rinnovatore delle ricerche nel ramo Ludovico Antonio Muratori), ma anche alcuno fra i cronisti dell’epoca, come Bonvesin de la Riva, o successivi, come Tristano Calco. E a ben 336 anni dallo scontro di Legnano, nel 1503 un altro scrittore, Bernardino Corio, parla per la prima volta del cosiddetto giuramento di Pontida, al quale affabulazioni letterarie successive (per tutte la Canzone di Legnano di Giosué Carducci, insieme con altre epopee risorgimentali e addirittura un’opera di Giuseppe Verdi) attribuirono un ruolo che non aveva mai avuto. La Lega lombarda infatti, all’epoca, non vide la luce a Pontida il 7 aprile 1167 con la solenne promessa dei Comuni coalizzati, cosa che non risulta da alcuna ricerca scientificamente apprezzabile, ma a Bergamo l’8 marzo di quell’anno. Molte delle informazioni che stiamo fornendo sono contenute nella ricerca di un erudito sacerdote brianzolo, don Rinaldo Beretta, probabilmente il più autorevole storico della sua terra, è stato detto, dopo Ignazio Cantù (a sua volta fratello dello scrittore Cesare). In Il giuramento di Pontida e la Società della Morte nella battaglia di Legnano (Como, 1970), don Beretta – scomparso a cento anni nel 1976 – ha analizzato tutti gli elementi che inducono a mettere fortemente in dubbio l’esistenza di Alberto di Giussano, della Società e del Giuramento. Che poi fioriscano qua e là i monumenti al presunto guerriero è tutt’altra storia, in un paese di antica retorica come il nostro nel quale si affiggono targhe in memoria di personaggi inesistenti, come, per esempio, un tal Giovanni Capocci ricordato in una cittadina abruzzese per una mai avvenuta partecipazione alla disfida di Barletta (13 febbraio 1503). Si favoleggia, da noi, di ampolle di acqua del Po e di razza padana: di quest’ultima la sola conosciuta in natura comprende buoi e mucche, neppure tori (la cui varietà più pregiata è quella marchigiana). Martinelli, quindi, con il suo kolossal può difficilmente pretendere di rifarsi, come ha dichiarato, alle proprie radici lombarde, poiché le radici sono cose vere e non, come in questo caso, una leggenda che tiene in ostaggio un decimo dell’elettorato. Si può sperare, per contro, che il prodotto appartenga alla serie di piacevoli realizzazioni da fiction, con buona pace di tutti e, se proprio le sta bene, con soddisfazione della Lega. Alla quale nessuno può negare il diritto di, inutilmente, commuoversi. Angelo Paoluzi - - - - - - - - - - (tratto da http://brianzolitudine.splinder.com/post/17895672) Brianza Braveheart Mi sovvien la Compagnia della Morte, novecento uomini a viso aperto attorno al Carroccio – animo offerto al Comune e a Dio – là a fare coorte per difendere l’ultima piazzaforte della Lega, poi facendo un deserto nell’esercito nemico e l’Alberto da Giussano mi sovvien, uomo forte leggenda al comando di quegli eroi, nella piana di Legnano a sputare sangue per far vincere la sua Hanoi lombarda, a sconfiggere e sbaragliare Freddy il crucco Barbarossa fuggente e il Barozzi traditore fetente. Che la figura di Alberto da Giussano (fulgida e mitica del basso Medioevo) sia vera o legata alla fantasia a me in verità non importa molto, ma a qualcuno la cosa pesa assai. Quando lo dico ai miei amici leghisti, che l’Alberto da Giussano brianzolo da loro idealizzato con ferrea spada sguainata forse non è mai esistito, vedo le loro mascelle cadere a terra per l’incredulità, salvo qualcuno che reagisce scompostamente e mi apostrofa in malo modo, dandomi del traditore romano. Eppure è proprio così e parafrasando shakespearianamente il traditore Bruto vi dico: Amici, concittadini padani, fatevene una ragione. La figura di Alberto da Giussano è stata quasi sicuramente inventata di sana pianta dal frate Galvano Fiamma che, attorno al 1450, scrisse le vicende della Lega Lombarda contro l’Impero inserendovi questo personaggio brianzolo senza macchia e senza paura, vero Braveheart de noantri, messo forse lì per compiacere Galeazzo Visconti nella storia del Comune di Milano, con toni da viva epopea. Altre testimonianze storiche su Alberto non sussistono (e la cosa in effetti puzza assai), eppure la storia di quell’Albertone con spada sguainata nella mente dei simpatizzanti leghisti è più solida e reale delle mura del Duomo di Milano. Tanto può, una storia scritta bene! Anche la figura del traditore del Comune di Milano, il Siniscalco Barozzi, è più da ascrivere alla leggenda che alla realtà. Detto questo, ben vera invece era la Compagnia della Morte, una specie di corpo dei Marines milanese creato per disporre di truppe da battaglia efficaci in grado di competere con le truppe imperiali germaniche. La leggenda vuole che la Compagnia sia stata creata e capitanata dal nostro A.d.G. ma, sia esistito o meno quest’ultimo, quella legione milanese ebbe parte importante nella vittoria “miracolosa” della battaglia di Legnano: Comune di Milano contro Sacro Romano Impero, vittoria davvero all’ultimo minuto. Tale battaglia, avvenuta il 29 maggio 1176, si scatenò quasi per caso. Sebbene sapessero della presenza del nemico, i due eserciti si incontrarono senza avere il tempo di pianificare alcuna strategia. Infatti furono le due avanguardie di fanti a incontrarsi e a iniziare lo scontro. 700 fanti della Lega Lombarda, in maggioranza truppe provenienti proprio da Legnano, si trovarono ad affrontare 300 fanti imperiali. La battaglia durò una ventina di minuti fino a quando l'imperatore Federico Barbarossa non sopraggiunse coi suoi cavalieri e caricò i lombardi, che si trovarono costretti a raggrupparsi attorno al carroccio. Sotto la bandiera della loro coalizione, questi soldati in inferiorità numerica e stanchi resistettero contro un esercito riposato, superiore e per di più a cavallo. Anche questo è un caso rarissimo nelle battaglie medioevali, dove di solito la cavalleria aveva facile ragione di truppe appiedate. Fra i motivi di questa resistenza che ha davvero del miracoloso valse probabilmente la convinzione dei lombardi nel combattere per la loro libertà ma soprattutto il fatto che gli eventi della battaglia li portarono a raggrupparsi proprio sotto il loro simbolo. Sul carroccio si trovava infatti lo stendardo e la croce di Ariberto d'Intimiano che infuse morale a questi fanti e permise loro di resistere eroicamente fino all'arrivo dei rinforzi, ma oltre a ciò, proprio per stare attorno al carro (che era un carro molto grande dal quale i comandanti impartivano gli ordini) i fanti lombardi formarono inavvertitamente quello che si definisce uno schiltron, ovvero una formazione di lancieri in cerchio, che replica un po' la stessa formazione che assumono i buoi quando sono in branco e si trovano aggrediti dai lupi. Le lance, tutte rivolte all'esterno, furono sicuramente le prime responsabili della vittoria lombarda. Per tutti questi motivi i fanti lombardi resistettero valorosamente fino a quando alcuni fanti milanesi fuggiti durante la carica della cavalleria imperiale raggiunsero Milano ed avvisarono la cavalleria lombarda della battaglia. Alla testa della cavalleria lombarda si trovava la Compagnia della Morte, gruppo di cavalieri scelti che avevano giurato di proteggere il proprio comandante fino alla morte appunto, i quali diressero la carica finale contro l'esercito imperiale, che venne messo in rotta con il suo imperatore che, disarcionato, si trovò a dover fuggire ignominiosamente a piedi. Una leggenda popolare narra che ai quei tempi una galleria sotterranea metteva in comunicazione San Giorgio su Legnano al Castello di Legnano, e che per questo cunicolo l'Imperatore Federico I Barbarossa riuscì a fuggire ed a salvarsi dopo la disfatta nella famosa battaglia. [Documento principale precedente] Alberto da Giussano a San Pietro in Gu (Mauro Fontana) . . Perchè Alberto da Giussano? (Cittadino Veneto) . . Alberto da Giussano (Al-Fredo) . . . . alberto da giussano (Un Cittadino) . . . . Non tutto il male vien per nuocere (Nane Tartaia) [Documento principale successivo]