l’intervista Mennea: «Abbiamo evitato i Giochi al massacro»
di MASSIMILIANO
CASTELLANI
« M onti ha appena detto no alle Olimpiadi di Roma 2020? Meglio così...». Pietro Mennea non esulta certo come quando tagliò per primo il traguardo olimpico dei 200, a Mosca 1980, ma c’è comunque la soddisfazione di chi ha corso in prima linea sul fronte del «no». Non sappiamo quanto abbia influito sulla decisione del premier il suo libro
I costi delle Olimpiadi
(Delta 3 Edizioni), ma Mennea glielo ha spedito da tempo. «Monti so che lo ha letto con molto interesse e ora ha preso la decisione più giusta per il Paese».
Ma scusi, dire di “sì” che cosa avrebbe comportato?
«Che in caso di assegnazione avremmo partecipato agli ennesimi “Giochi al massacro”, saremmo diventati carne da macello... Le Olimpiadi offrono onori limitati a un mese di gare e oneri da scontare a tempo illimitato. E poi lo spirito olimpico è stato abbattuto da un pezzo, queste kermesse sono affette dalle peggiori piaghe possibili: dalla corruzione al gigantismo, fino alla pratica diffusa e sempre poco combattuta del doping...».
Scusi Mennea, ma allora la teoria secondo cui i Giochi sono un volano per fare decollare l’economia del Paese che le organizza...
«È la più grande balla della storia quella che le Olimpiadi alzano il Pil di un Paese e creano occupazione. Nulla di tutto ciò si è mai verificato. Nel mio saggio emerge che in tutte le edizioni, da Atene 1896, fino a Pechino 2008, l’organizzazione dell’evento olimpico ha finito sempre per gravare pesantemente prima di tutto sulle tasche dei cittadini del Paese ospitante».
Nessuno ha mai guadagnato un centesimo dai Giochi?
«Solo Los Angeles, nel 1984, ha chiuso in pareggio, ma perché lì gli americani furono capaci di vendere agli sponsor persino il percorso del passaggio della fiaccola olimpica: 3mila dollari al km, ricavandone 54 milioni. E questo diede il pretesto all’Unione Sovietica di boicottare i Giochi perché “spudoramente commerciali e capitalistici” ».
Forse i russi lo fecero perché gli americani avevano boicottato quattro anni prima i Giochi di Mosca.
«Ero sia a Mosca che a Los Angeles e posso assicurare che ogni Olimpiade ha prima di tutto dei macabri retroscena finanziari. I russi mi ricordo che mi dicevano preoccupati: “Chissà fino a quando pagheremo questa storia qua?”. A Mosca nessuno ha mai saputo quali furono i costi reali. A Los Angeles l’ammortizzamento delle spese partiva dalla mancata costruzione del villaggio olimpico, tutti noi atleti, inma ».
fatti, alloggiavamo nei loro vecchi college
Saranno state Olimpiadi Invernali, ma quelli di Torino 2006 non si ricordano come i “Giochi di grande impatto”?
«Torino a livello di visibilità è stato un flop e non lo dico io, ma il presidente del Cio Rogge. La città si è rifatta il look, a Cesana, Pragelato e Sauze d’Oulx, ha lasciato impianti che ora sono inutilizzati, con costi di gestione insostenibili per quei comuni. A Sestriere vendevano gli appartamenti sottocosto, con l’alibi che c’era il contributo popolare dei cittadini. Non oso immaginare fino a quando pagheranno la classica “tassa olimpica”...».
Perché esiste anche la tassa olimpica?
«A Grenoble, quella tassa sui Giochi invernali del ’68 se la sono portata dietro per trent’anni, estinta solo nel ’98. Stessa sorte anche per le solide economie di Monaco, Montreal e Barcellona. Qui, dopo il ’92, i prezzi degli appartamenti sono cresciuti del 270%, impedendo di fatto a un cittadino medio di Barcellona di poter acquistare la casa, oltre a sostenere l’onere della “tassa olimpica” fino al 2004».
L’anno dei Giochi di Atene, ma non penserà anche lei che la crisi della Grecia comincia da lì?
«E invece sì, il grosso del loro default origina proprio da quelle Olimpiadi. Ero europarlamentare e ricordo la signora Anghelopulos (presidente di Atene 2004) che veniva a Bruxelles a pietire in continuazione prestiti. Cifre che poi sono state redistribuite alle lobby che ora hanno messo in ginocchio un intero popolo».
Vuol dire che anche noi rischiavamo un effetto Grecia?
«I greci hanno un debito da 360 miliardi di euro, noi quasi due mila miliardi. È dai Mondiali di Italia ’90 che i soliti “furbetti del quartierino” utilizzano denaro pubblico per interessi privati. Risultato? Stadi non a norma, di Torino 2006 abbiamo detto e Roma dopo i Mondiali di nuoto del 2009 ha più piscine di Hollywood, peccato che sono tutte private e volute da quegli stessi signori che per il 2020 non gli pareva vero di mettere le mani su un giocattolo da 20 miliardi di euro».
Scusi, ma si parlava di investimenti per un massimo di 10 miliardi.
«La Cina per Pechino 2008 era partita con un preventivo di spesa da 20 milioni di dollari, al termine dei Giochi erano diventati 43 milioni. Si investe sempre il doppio della cifra prevista, con nessun tipo di ritorno sensibile, né in termini turistici e tanto meno produttivi. La Cina prima delle Olimpiadi viaggiava con una crescita in doppia cifra, l’anno dopo era già scesa al 6,5%».
Però riconoscerà che non poter rivivere il fascino del bis di Roma ’60, i “giochi più umani” della storia, rappresenta una sconfitta.
«Altra balla. Il governo coprì il 70% degli investimenti e spesero 100 miliardi delle vecchie lire, con le quali all’epoca si poteva rifare l’Italia. E invece, senza un piano regolatore, si limitarono a distruggere Roma Nord, con un monstrum edilizio tuttora evidente. Per costruire il Villaggio olimpico sfrattarono tutti quei poveracci emigrati dal Sud, saliti a lavorare nella capitale. E questi sarebbero stati i “Giochi umani”?».
Ci dia almeno una ricetta “umana” da qui al 2020.
«Le Olimpiadi non servono a niente, se Roma vuole aumentare il Pil e il turismo, investa per valorizzare al meglio quell’area che va dal Circo Massimo al Colosseo. E con i miliardi risparmiati, il governo costruisca palestre, scuole, biblioteche, in questo modo creerà migliaia di posti di lavoro per la nostra gioventù che altrimenti non avrà un futuro».
(Avvenire del 15/02/2012 pagina 6)