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El Carbonaro


tratto da "Il Guado dell'Antico Mulino" giugno/2007

EL CARBONARO di Franco Sfameni

E’ un caldo pomeriggio di primavera quello che mi avvolge mentre mi fermo, nel mio girovagare per il paese, davanti ad una vetrina.
Un cenno che viene da dietro il vetro mi invita ad entrare e Silvio, classe 1967, mi accoglie in un locale lindo e pulito, pervaso da una fragranza mista di erbe e frutti maturi, disposti ad arte in bella vista su degli scaffali.
“Non si può dire che la bottega non la curi, eh?” faccio rivolgendomi a lui. “Credo che noi Bonotto, questo mestiere ce l’abbiamo nel sangue”, mi risponde con un sorriso. “Deve essere proprio un retaggio familiare”, rimugino tra me e me, non senza una punta di ammirazione. E riprendo: “Sai, sarebbe bello conoscere le origini, si, cioè, quando avete iniziato…”. Non finisco la frase che Silvio inizia, saltando da un avvenimento all’altro, a narrare episodi della vita di suo padre e di suo nonno che a me risulta difficile legare tra loro, ma che per lui hanno comunque un filo conduttore. “Calmo, calmo”, lo interrompo, “andiamo per ordine, iniziamo dal principio”. “Allora ci vuole mio padre Mario. Lui ricorda molto più di me, conosce molte più cose”, mi risponde; e aggiunge: “Ho anche i clienti da servire, quindi non potrei dedicarti molto tempo”. E mi indica le persone che nel frattempo hanno riempito il negozio.
A questo punto fissiamo un appuntamento, e il giorno dopo, con Mario, in un clima di amicizia e familiarità che prende subito il sopravvento, il ricordo offuscato e sbiadito dal tempo si srotola e riemerge dai recessi della memoria, dove era stato a lungo confinato. E le parole cominciano a scorrere, i fatti e i nomi ne rievocano degli altri, e la nebbia dei ricordi si dirada e fa riaffiorare figure, dapprima non ben definite, poi via via sempre più distinte, ognuna con la propria storia da raccontare ….
Mario colloca gli inizi a Valstagna, piccolo insediamento all’uscita della Valsugana, subito a nord di Bassano del Grappa, in cui viveva un certo Antonio Bonotto, classe 1840, produttore e venditore di carbone. Nel suo girovagare per i paesi della pianura veneta in cui esercitava il suo commercio, arriva a San Pietro in Gu e subito si innamora del paese, vedi per i verdi e sconfinati campi, vedi per le siepi e le risorgive, vedi per gli occhi dolci di una certa Angela Toniolo, sta di fatto che decide di fermarsi, convolare a giuste nozze e stabilirsi a Barche, andando ad abitare vicino all’ex osteria della “Nineta”.
Si può ipotizzare una data, il 1865, quando Antonio decide di cambiare professione e, pur mantenendo i legami saltuari con il commercio di carbone e di legna, affianca a quello un altro mestiere: il venditore di frutta e verdura.
Non immaginava certo che questa sua scelta avrebbe attraversato ben tre secoli, e circa 142 anni dopo i suoi discendenti, come lui, sarebbero stati identificati ancora con il soprannome di “Carbonaro”, retaggio della sua prima professione.
Certo, a quei tempi il commercio si svolgeva in una forma molto diversa da come ce la potremmo immaginare ai nostri giorni: quelli erano tempi molto duri, la pagnotta la si doveva sudare, ed infatti Antonio e Angela andavano due o tre volte la settimana a Vicenza, a Porta Castello, dove allora c’era un mercato, e acquistavano due o tre chili di “bagigi”, altrettante castagne, noci, frutta secca e qualche mela o altra rara frutta di stagione. E fin qui nulla di strano. La cosa particolare è che questi viaggi li effettuavano a piedi e la merce la portavano con una carriola, la quale serviva dopo anche come banco di vendita. Incredibile, vero?
I sacrifici e il duro lavoro sortiscono però ben presto i primi frutti: Antonio riesce ad acquistare una dopo l’altra tre piccolissime casette al Gò; una la adibisce a negozietto (ora abitazione del signor Angelo Bonotto, in origine stalla per cavalli); in una (era più o meno dove attualmente abita il signor Toniato Ottorino), va ad abitare con la famiglia, nel frattempo cresciuta di numero: nascono infatti tre figlie ed un figlio, Francesco.
Quest’ultimo, divenuto adulto, si sposa con Teodora Rigon da Maragnole, va ad abitare nella terza casetta, e dal loro matrimonio nascono ben sette figli: Pio, Vittorio, Silvio, Antonio, Giovanni, Maria ed Angela.
Si forma così una grande famiglia patriarcale, con tredici cugini; tutti assieme lavorano venti campi, presi in affitto dai signori Meneghetti, mentre Vittorio va fuori casa per fare il commerciante di maiali, Maria sposa Polati ed emigra in Francia ed Angela sposa Sabbadin Umberto.
Antonio e Angela rimangono a badare alla bottega, anche quella bene comune, aiutati dalla nipotina Adele, figlia di Ernesta, sorella di Francesco, che in seguito decide di farsi suora. Allora Francesco mette in negozio la nuora Dorotea Zanetti, che aveva sposato il figlio Pio, morto prematuramente all’età di 33 anni, e che le aveva lasciato un figlio in tenera età, Angelo.
Ma dato che tutta la famiglia partecipa alla conduzione del negozio, anche il giovane Silvio faceva la sua parte, dimostrando sin da bambino la sua predisposizione al commercio.
“Mio padre”, racconta Mario, “aveva una passione innata per il mestiere di fruttivendolo, e lo aveva esercitato sin dall’infanzia. Con il cavallo e il carretto andava a Vicenza, ai mercati generali per comperare all’ingrosso; riforniva il negozio condotto dalla cognata Tea, e poi faceva i mercati settimanali a Cittadella, San Pietro in Gu, Gazzo, e la domenica in piazza con la bancarella, e tutto questo con qualsiasi tempo, non lo fermava né la pioggia, né la neve, né il freddo”.
I tempi erano molto duri, a cavallo fra le due guerre. Soldi ce n’erano pochi e si faceva fatica a pagare l’affitto dei campi. Si lavorava duramente tutti assieme per sbarcare il lunario. Questa situazione continua sino alla fine della seconda guerra mondiale; verso il 1947 Silvio rileva una stanzetta situata in via Garibaldi, all’incrocio principale del paese, di proprietà di Caterina Strazzabosco, vedova Tessari, pagando l’affitto con 6 quintali di fieno l’anno e il permesso di pascolo, nei campi lavorati dai Bonotto, per una mucca di proprietà della Caterina. L’attività di commercio la si svolgeva in strada, di fronte all’attuale ambulatorio dottor Righetto, e non di rado, capitava che i camion che transitavano per la Postumia e dovevano entrare o uscire dal paese, nell’affrontare la curva, sbagliassero manovra, investendo il banco e rovesciandolo per terra con tutto il suo contenuto.
Verso il 1950 Silvio si trasferisce nel locale (ora garage), allora di proprietà della nipote Agnese, dall’altra parte della strada, e vi resta fino al 1973, anno in cui effettua l’ultimo trasloco nel negozio attuale, di recente rimodernato. Silvio si sposa con Rubin Maria ed ha dei figli: Ida, Mario, Angelina poi sposata Viero, Adele, Rina, Francesco, quest’ultimo meglio conosciuto come Antonio e Annamaria poi suora.
Alcuni di loro li ricordiamo bene, perché li vedevamo quando noi bambini ci avvicinavamo al banco del “carbonaro”, che era in piazza la domenica dalla mattina presto alla sera tardi, e comperavamo, a seconda della stagione, una granatina con sciroppo alla menta o tamarindo d’estate, (costava 5 delle vecchie lire, cioè con un cent di euro attuali se ne potevano comperare quasi quattro!), poche lire di “straccaganasse” (con le solite 5 lire te ne veniva quasi mezza tasca), qualche “bagigio”, qualche caldarrosta in autunno, assaporando per quest’ultime il delizioso tepore alle mani e in tasca, prima di metterla in bocca e consumarle lentamente, per farle durare di più.
E Silvio ripeteva sempre ai figli: “Mai imbrogliare”. E più di qualche volta infilava in tasca a qualcuno che non li poteva acquistare, una caramella o un frutto. Aveva un cuore grande ed era conosciuto come “nobile”: non di stirpe, bensì di animo e comportamento.
Sono cose queste, che magari ora ci fanno sorridere, ma che sottolineano quale ricchezza di valori avesse saputo esprimere questa figura di uomo semplicemente dotato di grande umanità, e che svolgeva il suo lavoro sempre con grande passione.
Ha vissuto 100 anni e due mesi, Silvio, il “carbonaro”, era Cavaliere di Vittorio Veneto, in virtù della sua partecipazione alla guerra del 15-18, della quale ricordava e narrava le sue vicende legate a quelle del tenente Aurelio Baruzzi, medaglia d’oro al valor militare, comandante del suo plotone, in seguito promosso generale, e con cui aveva mantenuto rapporti di cordiale amicizia sino alla fine.
Una figura, quella di Silvio, che ha lasciato una grande impronta, che prima i figli, i nipoti ora, cercano di ricalcare, continuando con perizia e onestà quel mestiere che i loro nonni cominciarono tanti anni fa.
I figli di Mario continuano l’attività con Silvio junior, attualmente titolare, e come ai vecchi tempi, con l’aiuto delle sorelle Adriana, sposata e madre di due figli di tre ed undici anni, e Mariarosa, anche lei sposata e madre di un ragazzo di undici anni e di una ragazza di sedici.
“Vedi” mi fa Silvio, “come mio nonno cerco di stare dalla parte del cliente. Mi comporto in modo da meritarmi la sua fiducia, scambio con lui qualche parola, qualche battuta, molto semplicemente. Non cerco cose sofisticate, il nostro è un mestiere da rendere più naturale possibile. La gente ha bisogno di semplicità e naturalezza. Mio nonno mi ha anche insegnato a non imbrogliare. E noi continuiamo così”. “E sono trascorsi ben 142 anni” aggiungo io.
E’ passato quasi tutto il pomeriggio. Saluto i protagonisti di questa storia ed esco nel tramonto che riempie il cielo di raggi dorati, preludio ad una bella giornata per l’indomani. Mi avvio verso casa, non senza aver gettato un’ultima occhiata alle vetrine lucide e pulite, divise da una rientranza che aggiunge spazio alla porta d’entrata, sormontata quest’ultima da una scritta: Ortofrutta Bonotto .
Ho preso degli appunti, ma so già che li userò solo per ricordare i nomi. Per il resto, conta solo il sacrificio e la costanza di quelli che hanno fatto si che questa bottega arrivasse fino ai nostri giorni, a questi nostri giorni sempre più dinamici, in cui il tempo scorre veloce e gli impegni si accavallano incessantemente.
E penso che 142 anni or sono partivano a piedi di buon mattino, spingendo una carriola vuota fino a Vicenza…. E sempre a piedi tornavano con la carriola carica di qualche chilo di frutta secca. Per due o tre volte la settimana…..